Cassazione civile , sez. III, sentenza 19.12.2014 n° 26900
Il fatto
Durante i lavori di manutenzione della facciata di un edificio condominiale, il proprietario di un appartamento subì il furto di beni preziosi per un valore di circa 50 mila euro.
Il proprietario citò in giudizio il condominio e l’impresa appaltatrice dei lavori chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, in quanto il furto sarebbe stato agevolato dalle impalcature installate dall’impresa senza l’adozione di opportune misure anti-intrusive.
Il Tribunale di Roma accolse la domanda condannando i convenuti al risarcimento dei danni, quantificati in una somma di poco inferiore alla metà di quella richiesta.
La sentenza veniva sostanzialmente confermata in sede di appello, salvo che per il capo riguardante l’omessa rivalutazione del credito risarcitorio.
L’impresa e il condominio ricorrono per cassazione, la prima in via principale, il secondo in via incidentale.
I motivi di ricorso si incentrano, da un lato, sulla violazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. e sul vizio di motivazione relativamente all’affermazione della responsabilità dell’impresa appaltatrice e, in concorso con essa, del condominio committente; dall’altro, sulla violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., relativamente al capo della sentenza con cui è stata disposta d’ufficio la rivalutazione monetaria dell’importo liquidato in primo grado a titolo di risarcimento.
La normativa
Codice civile
Art. 2043.
Risarcimento per fatto illecito
Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
Art. 2051.
Danno cagionato da cosa in custodia
Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
Codice di procedura civile
Art. 112.
Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato
Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti.
Art. 346.
Decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte.
Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate. |
Inquadramento della problematica
Nella decisione in esame la Suprema Corte è chiamata ad affrontare una particolare questione in materia di responsabilità civile, che può essere compendiata nei seguenti termini:
– chi risponde dei danni causati dal furto commesso nell’appartamento di un condòmino da chi si sia introdotto utilizzando il ponteggio montato da un’impresa incaricata di eseguire lavori di manutenzione all’edificio condominiale?
Per rispondere al quesito è opportuno esaminare distintamente la posizione giuridica e gli obblighi gravanti sui due soggetti coinvolti nella vicenda: l’impresa esecutrice dei lavori da un lato, il condominio committente dall’altro.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, formatosi proprio in relazione a fattispecie analoghe a quella in esame, l’imprenditore che utilizzi un ponteggio per eseguire lavori sugli edifici è responsabile ai sensi dell’art. 2043 c.c., quando abbia trascurato le ordinarie norme di diligenza e non abbia adottato le cautele idonee ad impedire l’uso anomalo del ponteggio. (1)
La responsabilità si ricollega non tanto alla sussistenza del ponteggio in sè, quanto alla mancata adozione di idonei accorgimenti anti-intrusivi (quali un sistema di illuminazione notturna, un servizio di vigilanza ecc.), atti in concreto ad ovviare alla situazione di pericolo che ne deriva, essendo evidente che la presenza di un’impalcatura rende agevole l’accesso alle abitazioni private da parte di eventuali malviventi.
Oltre all’impresa esecutrice occorre poi valutare se, e a quale titolo, possa essere chiamato a rispondere dei danni anche il condominio che ha disposto l’esecuzione dei lavori.
Al riguardo, secondo l’interpretazione prevalente (2) è configurabile nella fattispecie anche una responsabilità del condominio quale custode del fabbricato ai sensi dell’art. 2051 c.c.
Si tratta, stando alla ricostruzione teorica oggi più accreditata, di una responsabilità di natura oggettiva, poiché il criterio di imputazione è dato dal mero nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, mentre non assumono alcun rilievo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.
Il fondamento della responsabilità è costituito dalla custodia, cioè dal potere di governo della cosa che lega il custode alla cosa stessa e che si compone di tre elementi (3): il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi, il potere di escludere i terzi dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno.
Il custode può andare esente da responsabilità solo provando l’esistenza del caso fortuito, elemento che esula dal comportamento del responsabile ed inerisce invece al profilo causale dell’evento; il fortuito si riconduce non alla cosa in sé ma ad un elemento esterno, avente i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiante.
Infine, secondo un altro orientamento giurisprudenziale (4), oltre che quale custode, potrebbe ipotizzarsi a carico del condominio anche un ulteriore profilo di responsabilità, in base al paradigma generale dell’art. 2043 c.c.; cioè una responsabilità per culpa in vigilandoo in eligendo, qualora si accerti che il condominio ha omesso di sorvegliare l’operato dell’impresa appaltatrice dei lavori o si sia affidato ad un’impresa manifestamente inadeguata a garantire una regolare e sicura esecuzione dei lavori.
La sentenza
– Ad avviso della Corte di Cassazione, nella fattispecie la sentenza impugnata ha correttamente affermato sia la responsabilità dell’impresa appaltatrice sia quella concorrente del condominio, sulla base delle seguenti ragioni:
1) la mancata adozione di idonee misure anti-intrusive (quali l’illuminazione notturna, la guardianìa ed altri accorgimenti) ha agevolato il furto, essendo emerso che il ladro si era introdotto nell’appartamento proprio attraverso il ponteggio lasciato incustodito.
L’impresa appaltatrice è perciò responsabile ai sensi dell’art. 2043 c.c., per aver violato una regola di ordinaria diligenza e di minima perizia che impone a chi utilizza ponteggi ed impalcature l’adozione di cautele idonee ad impedire l’uso anomalo di tali strutture.
2) Il condominio, per parte sua, risponde dei danni in qualità di custode; avendo disposto il mantenimento della struttura, ha omesso di esercitare la dovuta attività di vigilanza e custodia, con ciò agevolando l’accesso abusivo del ladro nell’abitazione del condòmino.
D’altro canto, il condominio non può invocare a proprio discarico, nei confronti della parte danneggiata, la clausola del contratto di appalto che imponeva all’impresa l’obbligo di adottare ogni misura idonea ad evitare danni a terzi e addossava alla stessa impresa ogni conseguente responsabilità.
– Secondo i principi generali (art. 1372 c.c.), infatti, una simile clausola ha effetto obbligatorio e vincolante solo tra le parti del contratto e non nei confronti dei terzi danneggiati, consentendo unicamente al committente di rivalersi nei confronti dell’appaltatore per gli eventuali danni a terzi di cui sia chiamato a rispondere per effetto del comportamento imputabile all’appaltatore stesso.
La clausola quindi non esonera il committente dalla responsabilità verso i terzi danneggiati, qualora il committente abbia omesso di esercitare la dovuta vigilanza circa la concreta attuazione delle misure anti-intrusive.
– La decisione impugnata è invece errata nella parte in cui ha disposto d’ufficio la rivalutazione della somma liquidata; la sentenza ha qui applicato la regola secondo cui rivalutazione monetaria e interessi costituiscono una componente dell’obbligazione risarcitoria, quale debito di valore, e possono essere riconosciuti anche d’ufficio ed in grado di appello, anche se non specificamente richiesti e purchè non espressamente esclusi, in quanto sono compresi nell’originario petitum della domanda.
Nella circostanza, tuttavia, al momento di formulare le sue conclusioni in appello la parte danneggiata ha dichiarato di accettare senza riserve la sentenza di primo grado anche riguardo all’importo liquidato, con ciò chiaramente rinunciando alla domanda relativa alla rivalutazione monetaria.
– In conclusione, la Terza Sezione, respinti tutti i motivi di ricorso relativi al riconoscimento della responsabilità dei ricorrenti (l’an debeatur), cassa la sentenza limitatamente alla parte in cui ha condannato alla rivalutazione monetaria sulla somma liquidata (il quantum debeatur); somma che resta perciò quella decisa dal giudice di primo grado.
(fonte Altalex)